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la stampa



Osvaldo Guerrieri – LA STAMPA – 29 gennaio 1997

Spettacolo di Bruce Myers, grande attore di Peter Brook, all'Arsenale della Pace
“Dibbuk”, leggerezza della magia
Dramma a due soli personaggi con Corinne Jaber

Nel 1987 l'attore Bruce Myers fornì a Franco Parenti la propria personale riduzione del “Dibbuk”, dramma del polacco Sholom Anski considerato fin dal suo apparire (nel '22) un vertice del teatro in lingua yiddish.

Myers aveva pensato a uno spettacolo per due soli personaggi, nei quali si condensavano tutte le principali figure del dramma: la coppia di fidanzati Chonon e Lea, il padre di lei, il rabbino esorcista che scaccia dal corpo di Lea lo spirito errante (il dibbuk appunto) di Chonon, morto improvvisamente dopo che la sua innamorata é stata costretta a sposare un ricco vicino...
Ora Myers lui stesso in scena il testo che forse gli è più caro.
Da un quarto di secolo, Myers è uno dei più fedeli compagni di lavoro di Peter Brook. Inglese di Manchester, comincia la carriera alla Royal Shakespeare Company. Ma, inquieto nello spirito (il «falco pellegrino» del teatro lo definisce Jean-Claude Carrière) sbarca a Parigi, incontra Brook e con lui affronta quelle imprese shakespeariane divenute giustamente famose, con lui realizza il “Mahabharata”.
Tra uno spettacolo e l'altro, a partire dal '78 Myers si dedica al “Dibbuk”, prima con altri registi poi in proprio.
Ora, con il suo gran lavoro di sottrazione e di analisi, è approdato all'Arsenale della Pace invitato da Teatrosfera dove resterà fino a domani. Accanto a sé ha la deliziosa Corinne Jaber.
Recitando in francese e a volte in yiddish, interpreta con intensità, leggerezza, umorismo questo terribile dramrna d'amore e morte, questo complicato brogliaccio che alla favola mescola le questioni teologiche, i concetti della Torà e della Cabala. Chissà che boccone, direte. Spiacente di smentirvi. Myers ha inserito questo strano gioiello teatrale in un clima di realismo magico, in un'atmosfera dimessa, su uno stupore quasi infantile. Vediamo a coppia a tavola la sera del venerdi; in un rituale di preghiera e di canto sommesso, i due entrano quasi spontaneamente nella storia Chonon e Lea, si sottopongono ai passaggi cui li obbliga la vicenda, toccando momenti di schietta ilarità quando lui racconta di Shlomo che chiede ragione a Dio di tutte le proprie sventure. Ma c'è anche un momento di grandissima drammaticità, che coincide con l'apparizione dell'esorcista. Qui Myers mette a frutto la lezione brookiana sull'uso teatrale degli oggetti e ci offre un esempio di teatro «povero» ma profondo come un abisso.
Il pubblico, che spesso ride di cuore, esplode alla fine in un'ovazione, non lasciando andar più via né Myers né la delicata e intensissima Jaber.

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